Visti da Fuori

Ha scritto Alessia Niccolucci, il

visti da fuori A volte capita che ti chiadano perché si scrive un libro e come si faccia a scivere un libro e io rispondo che dipende da come si guarda e vede il mondo.

Quando ero bambina ero solita trascorrere il tempo del mare in Sicilia, terra amatissima da noi toscani, forse perché aveva ragione Omero a dire che Ulisse, dopo esser passato di lì, aveva ingravidato Circe di un figlio, Telegono, che era il nostro Abramo.
Fatto sta che la amavamo, con la mia famiglia, coi suoi sapori forti e le sue contraddizioni, i suoi sorrisi e i suoi lunghi silenzi che parlano: la mafia, i quaquaraquà, i baciamolemani, le leggende su Andreotti e le cassate di Taormina. Le illazioni sui siciliani e il loro genio indiscusso, che scovavi anche nei bambini un po’ cenciosi e anacronistici dell’entroterra. L’amavamo e basta: e quando si ama non si giudica, si ama. Erano loro a giudicarsi e avevano ragione ad essere arrabbiati: ma io ero una bambina e per me era tutta un’altra storia, a quell’epoca, la realtà.
Mi ricordo che ridevamo dei tedeschi, che trascorrevano rosa, le giornate in piscina, lasciando il mare di Acitrezza agli italiani, forse per non mischiarsi a noi, chissà: o forse perché non sanno godersi la bellezza che fa male dei paesaggi meridionali. E’ troppo per loro.
Ridevamo dei napoletani, che arrivavano in 7 in un’auto, colma di vettovaglie, piantine di basilico, gabbie di canarini e buste colorate piene di una intera casa: con quattro, cinque bambini urlanti e schiamazzanti che ne schizzavano fuori come gattini liberati da una scatola e, snudatisi di corsa, si lanciavano a bomba nella piscina dell’albergo con i danesi che biondi, li guardavano senza fiatare, senza sorridere, senza espressione, mentre noi ridevamo un po’ e un po’ ci vergognavamo di loro, come ci si vergogna di una zia originale e dai costumi discutibili. E i genitori che un po’ li riprendevano e poi non resistevano e iniziavano a tuffarsi e a giocare nell’acqua con loro.
Mi ricordo poi di Sorrento e Positano. Ma ero un poco più grande: ricordo la bellezza mozzafiato di quei luoghi e i sorrisi gentili e sinceri della gente; ricordo l’accento simile a quello di Napoli e gli abitanti che invece, ne prendevano le distanze, come si fa con un fratello che ha preso una brutta strada.
Mi ricordo i concorsi di Stato e i primi stages negli uffici e i calabresi, vestiti come dei principi anche se principi non erano, che conoscevano tutti, arrivavano primi e dirigevano un ufficio dopo un anno e andavano a cena col capo e con la moglie dopo due mesi: hanno gli sconti dal parrucchiere, dal carrozziere, dal pescivendolo e il posto in ospedale, perché hanno amici, fanno favori ma non parlano mai. Non mi sembravano nemmeno meridionali per quanto tacevano. Ero già grande però.
Mi ricordo i pugliesi, bella la terra, meravigliosa la gente, chiara onesta lavoratrice sincera e caparbia. Sono come fratelli fra loro e te ne senti estromessa e forse lo sei. Entrare non puoi, ma si lasciano amare col cuore.
Mi ricordo i napoletani, pochi anni fa, al Ministero, ridacchiare fra loro per i finti certificati medici di invalidità che fuori provincia, gli avevano valso l’assunzione e la scalata della graduatoria. Ritrovarli a lavoro, dopo poco, a coprire posti per cui non avevano i titoli perché amici di amici di amici. E ridacchiano e sgomitano e fanno sgambetti e si lamentano di essere lontani da casa e di non avere abbastanza soldi per vivere a Roma.
E a Roma mi ricordo i siciliani, vecchi compagni di studi, emigrati all’estero a lavorare come ricercatori nelle università, viaggiare fra l’Europa e gli USA perché richiesti come preziosi consulenti scientifici, parlare tre lingue, con la testa aperta come i marinai greci che li hanno preceduti, tristi perché rifiutati da un’Italia che premia gli amici e non i cervelli, un’Italia che amano e che sperano di potere cambiare, un giorno, mentre i pubblici uffici sono saturi degli amici, degli amici, degli amici dell’altro Mezzogiorno, quello che chiede come un figlio che grava sul padre sino alla vecchiaia e disprezza e deride il fratello industrioso e severo.
Questi sono i miei ricordi, e me ne dispiaccio ma è quello che ho visto, che vedo e forse vedrò.
Mi ricordo infine, anche una frase di Corrado Alvaro “Dei Greci, i meridionali hanno preso il loro carattere di mitomani. E inventano favole sulla loro vita che in realtà è disadorna. A chi come me si occupa di dirne i mali e i bisogni, si fa l’accusa di rivelare le piaghe e le miserie, mentre il paesaggio, dicono, è così bello.” L’ha postata Saviano sul suo Facebook, qualche giorno fa.

(Già pubblicato per Caffé News http://www.caffenews.it/mezzogiorno-sud/40319/visti-da-fuori/)

Leggi anche: Perchè scrivo

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Alessia Niccolucci Sono una scrittrice e un'insegnante
Scrivo romanzi, poesie, articoli da sempre e insegno a Roma. Ma considero la mia casa la Toscana da dove provengo. Vorrei dire di più ma è già tutto sul mio sito.
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