Perché l’esercito romano non perdeva mai?

Ha scritto Alessia Niccolucci, il

indexDato che oggi, 10 gennaio, è l’anniversario del passaggio del Rubicone (49 a.C.) torna in mente una domanda che tanti si sono fatti nel corso della storia e la cui risposta è relativamente semplice.
Cosa permetteva all’esercito di Roma di vincere sempre?
Cominciamo col ricordare che l’esercito era composto, a seconda dell’epoca storica analizzata, da varie componenti: le legioni di cittadini romani, gli alleati o le truppe ausiliarie, la flotta ravennate, di Miseno oltre a quelle fluviali e le guarnigioni di Roma (guardia pretoriana, coorti urbane e corpo dei vigili) e che questa macchina ebbe varie fasi prima di divenire quello che tutti conosciamo.

I cambiamenti intervenuti nella struttura della milizia romana possono descrivere un percorso schematizzabile attraverso quattro distinte fasi.

Fase I
L’esercito ebbe origine dal servizio militare obbligatorio annuale che incombeva sulla cittadinanza romana, quale parte dei doveri nei confronti della Res publica. Durante questo periodo, all’esercito romano poteva capitare di intraprendere campagne episodiche e stagionali contro avversari essenzialmente locali.

Fase II
Con l’espansione dei territori cadenti sotto il controllo romano, e con l’accrescersi in grandezza delle forze armate, i soldati divennero gradualmente dei professionisti salariati. Quale conseguenza, il servizio militare prestato ai livelli più bassi (e non remunerati) divenne progressivamente di più lungo termine. Le unità militari romane, in questo periodo, erano estremamente omogenee e fortemente regolate. L’esercito consisteva di unità di fanteria composte da cittadini, conosciute come legioni (lat.: legiones), a cui si affiancavano truppe ausiliarie, non legionarie, costituite da alleati privi di cittadinanza romana, che erano chiamate auxilia. Alle seconde si faceva ricorso soprattutto quali truppe di appoggio, di fanteria leggera o di cavalleria, o per ricevere supporto logistico.

Fase III
Al culmine della potenza dell’Impero romano, sulle forze ricadeva il compito di presidiare e rendere sicuro il Limes, il confine esterno delle vaste province romane che erano passate sotto il controllo di Roma. In questo periodo, normalmente, non si profilavano sull’impero serie minacce strategiche, così che l’enfasi era posta sulla salvaguardia dei territori conquistati.
In risposta a queste nuove esigenze strategiche, l’esercito subì trasformazioni strutturali e divenne più dipendente dalle guarnigioni fisse piuttosto che affidarsi ad accampamenti mobili e a operazioni in campo aperto.

Fase IV
Quando Roma iniziò ad avere difficoltà nel garantire il controllo sul suo enorme territorio, il servizio militare nelle truppe regolari continuò a essere salariato e professionista. Tuttavia, la tendenza a utilizzare truppe alleate o mercenarie era aumentato a tal punto che queste finirono per rappresentare una quota notevole del totale delle forze. Contemporaneamente, andò scomparendo l’uniformità strutturale che poteva riscontrarsi agli albori dell’organizzazione militare di Roma. In questa fase, il tipo di soldati impiegati variava dalla tipologia degli arcieri a cavallo, armati alla leggera, fino alla fanteria pesante, inquadrati in reggimenti di dimensione e caratteristiche variabili. Questo si accompagnava a una tendenza, manifestatasi nel tardo impero, a un crescente predominio del ruolo della cavalleria, in luogo dei reparti di fanteria, un fenomeno che andava di pari passo con la necessità emergente di operazioni a maggior mobilità.
(fonte: il WEB)

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Insomma, torniamo alla domanda iniziale, ossia quale era il suo segreto? Perché l’esercito di Roma vinceva sempre?
Ogni soldato combatteva per un tempo variabile tra i 90 secondi e i cinque minuti, poi veniva fischiato un richiamo e le prime file cedevano il passo alle seconde, e così via.
La particolare formazione delle truppe permetteva, in battaglia, un avvicendamento continuo di uomini e forze fresche: così la lotta poteva essere prolungata senza stancare i soldati.

Quando ci si immagina i combattimenti dell’antichità, le immagini che vengono in mente sono una massa informe di corpi grossi, insanguinati, che se le danno di santa ragione muovendosi a caso. Pura violenza e forza, senza abilità e nessun ordine. Sono immagini cinematografiche, e sono del tutto sbagliate.

I combattimenti corpo a corpo, prima che venissero inventate le armi da fuoco, erano, nel corso di una guerra, quelli più rari. Il generale bravo tendeva a risolvere la maggior parte degli scontri a livello tattico, colpendo più le risorse (incendiando i villaggi e i campi) che gli uomini. Ma quando era necessario andare all’assalto, non si tirava indietro. Solo, tutto questo non avveniva in modo confuso, ma ordinato. Quasi, addiritttura, rituale.

Le legioni romane avevano sviluppato un sistema di avvicendamento tra soldati che permetteva di avere sempre uomini freschi sulla linea del combattimento, garantendo a chi fosse stanco, o anche solo ferito, di trovare riposo e cure.

Come avveniva? I gruppi erano divisi in sei file. Ogni soldato combatteva per un tempo variabile tra i 90 secondi e i cinque minuti, poi veniva fischiato un richiamo e le prime file cedevano il passo alle seconde, e così via. I soldati che lasciavano il campo avevano modo di riposarsi e di tornare a combattere freschi, almeno due volte in un’ora. Se erano stati feriti potevano curarsi (c’erano dei capannelli apposta). C’era sempre un sostituto in grado di sostenere la battaglia e prolungare lo scontro. Questo è stato, senza dubbio, uno dei fattori di prevalenza dell’esercito romano per secoli.
(fonte: Linkiesta)

« […] riguardo alla loro organizzazione militare, essi hanno questo grande impero come premio del loro valore, non come dono della fortuna. Non è infatti la guerra che li inizia alle armi e neppure solo nel momento dei bisogno che essi la conducono […], al contrario vivono quasi fossero nati con le armi in mano, poiché non interrompono mai l’addestramento, né stanno ad attendere di essere attaccati. Le loro manovre si svolgono con un impegno pari ad un vero combattimento, tanto che ogni giorno tutti i soldati si esercitano con il massimo dell’ardore, come se fossero in guerra costantemente. Per questi motivi essi affrontano le battaglie con la massima calma; nessun panico li fa uscire dai ranghi, nessuna paura li vince, nessuna fatica li affligge, portandoli così, sempre, ad una vittoria sicura contro i nemici […]. Non si sbaglierebbe chi chiamasse le loro manovre, battaglie senza spargimento di sangue e le loro battaglie esercitazioni sanguinarie. »

(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 5.1.71-75.)

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Alessia Niccolucci Sono una scrittrice e un'insegnante
Scrivo romanzi, poesie, articoli da sempre e insegno a Roma. Ma considero la mia casa la Toscana da dove provengo. Vorrei dire di più ma è già tutto sul mio sito.
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