Transumanar e organizzar ovvero Pasolini legge Dante

Ha scritto Alessia Niccolucci, il

Pier-Paolo-Pasolini
‘O generazione sfortunata! I libri, i vecchi libri passarono sotto i tuoi occhi come oggetti di un vecchio nemico..”

“Anghelos è irriconoscibile, Savona non lo riconosce
come non riconosce la Cina Popolare.
Non riconosciuto, egli ride, ma ride a metà.
Poichè la lietezza è tutto il suo patrimonio
è stata questa la trovata dello Stato per tassarlo.
Egli per essere deve essere astante: con gli altri
le sue relazioni sono contrattuali: non crede,
da ragazzo moderno, nei miti: eppure, si sa,
solo ciò che è realistico è mitico, e viceversa.
Non crede naturalmente alle fiabe: fiaba fatta di nulla
è la sua vita.
Ben presto perde la presenza degli altri:
non ne ricorda più la faccia. Va per il mondo
vestito di grigioverde come un cane dalle fauci piene di bontà.
Lo conduce per mano un destino in cui la realizzazione
del compito è pressochè nulla, l’intervento dell’alleato
se viene viene, se no pazienza (un alleato sono io):
l’eliminazione dell’avversario si verifica miticamente
a cazzotti, o forse anche, devo ammetterlo, a coltellate.
La negoziazione? Egli protesta un po’, poi si rassegna.
L’aggressione è cosa di tutti i giorni.
Le retribuzioni (ricompensa e vendetta) non sono calcolate.
Al processo di peggioramento e all’errore non ci pensa.
All’obbligazione, meno che meno. Al sacrificio, forse,
se questo lì per lì, sul posto, dà una certa soddisfazione
(capace anche di pagarla con la morte). L’aggressione subìta
e il castigo, son cose che riguardano il Cap. Savona.
Il ciclo narrativo è una linea che si disperde tra l’erba
come il ragazzo di Marlowe. Egli eroicamente ride,
paria innocente: intoccabile sì, ma anche inattingibile.”
(PPP, Frammento da “Transumanar e organizzar”, 1971)

Anche Pasolini quindi, dà per assodato che poesia, arte e letteratura siano ormai generi in via d’estinzione, surclassati ed asfaltati dalla sovrabbondante mercificazione, dalla ignoranza dilagante, dalla prepotenza della bruttezza, dalla proletarizzazione della cultura come strumento di emancipazione popolare e non di elevazione popolare. Come poi accadde alla scuola e a tutto il resto.

Dante e Pasolini di Riccardo Bruscagli
(Fabrizio Gifuni, 24 marzo 2010)
Do alle stampe oggi queste pagine come un ‘documento’, ma anche per fare dispetto ai miei ‘nemici’: infatti, offrendo loro una ragione di più per disprezzarmi, offro loro una ragionedi più per andare all’Inferno

Queste righe scrisse Pier Paolo Pasolini in epigrafe al libretto, intitolato La divina
Mimesis
, a cui infine si decise ad affidare il documento, come egli dice, o forse meglio il relitto, diremmo noi, di un progetto su cui si era a lungo arrovellato: nientemeno che una riscrittura della Divina Commedia; un’idea che lo accompagnava, o forse meglio sarebbe dire, lo perseguitava, fino dalla fine degli anni Cinquanta. La Divina mimesis uscì presso Einaudi nel novembre del 1975; postuma solo per pochi giorni al poeta, assassinato, come tutti ricordano, nella notte fra il primo e il due novembre di quell’anno all’idroscalo di Ostia. La coincidenza è fin troppo suggestiva, e ci spingerebbe a dichiarare che la vita letteraria e poetica di Pier Paolo Pasolini si suggellò nel nome di Dante. Limitiamoci a constatare che l’ultimo titolo curato dall’autore è una
Mimesis, una imitazione della Divina Commedia: due canti soli, per altro, il primo e il secondo, rifatti in prosa, e chiusi alla fine da una sarcastica paginetta –intitolata Per una ‘Nota dell’editore’–
in cui Pasolini si divertì a sfidare d’anticipo i futuri curatori e filologi dei suoi scartafacci danteschi, I quali curatori e filologi, in effetti, hanno avuto oggi il loro filo datorcere, giacché una ben
maggiore e più confusa varietà di scritti e di appunti, rispetto al testo pubblicato nel 75, è emersa a testimoniare della tenacia e della frustrazione ricorrente con cui Pasolini inseguì il suo sogno di ‘rifare’ la Commedia: sogno, come abbiamo sentito, da cui uscì, secondo il parere dell’autore,come abbiamo sentito, niente più che un aborto spregevole, offerto provocatoriamente al disprezzo d eisuoi nemici: offrendo loro una ragione di più per disprezzarmi, offro loro una ragione di più per andare all’Inferno.
D’altronde, il rapporto di Pasolini con Dante non si esaurisce davvero nel progetto più ambizioso, e abortito, quello appunto di una nuova Divina Commedia. La memoria dantesca è continua, pervasiva, nell’opera pasoliniana, in prosa e in poesia: dalla rappresentazione della Roma di Ragazzi di vita come “Città di Dite”, parole sue, rappresentata “come una bolgia”, “un inferno di case”, in cui si cammina tra una “folla greve di dannati” , ai versi di Trasumanar e organizzar, che fino dal titolo prelevano dalla lingua di Dante uno dei suoi fulminanti neologismi; a quella sorta di resa inanimata alle parole del modello che è il Collage da Dante (intitolato proprio così) con cui si apre Dal vero, una prosa romana degli anni 50-53. E neanche il cinema di Pasolini rimane indenne da questa epidemica memoria dantesca: dal primo film, Accattone, che si apre citando in epigrafe i versi della morte di Bonconte -Tu te e porti di costui l’etterno/ per una lacrimetta che ‘l mi toglie…fino all’ultimo film, l’agghiacciante Salò-Sodoma, che Pasolini concepì ispirandosi certo a Sade, ma ad un Sade, secondo lui, a sua volta ispirato da Dante: L’idea mi è venuta da Le centoventi giornate di Sodoma, questa specie di sacra rappresentazione mostruosa, al limite della leggibilità. Mi sono accorto tra l’altro che Sade, scrivendo, pensava sicuramente a Dante. Così ho cominciato a ristrutturare il libro in tre bolge dantesche; quelle che poi nel film saranno l’Antinferno, e poi il Girone delle Manie, il Girone della Merda, il Girone della Morte.
Ma la memoria dantesca, in Pasolini, non è pura intertestualità, citazione, ripresa verbale. Dante costituisce per Pasolini un paradigma linguistico letterario, l’emblema e insieme l’autorizzazione di una vera epropria poetica e teorica della letteratura. Questo lo si scorge molto bene nell’unico saggio di Pasolini dedicato a Dante, La volontà di Dante a essere poeta (1964 ), che a sua volta si intreccia con uno dei più bei scritti linguistici di Pasolini Intervento sul discorso libero indiretto, del 1965, e con la polemica che ne seguì. Cosa c’entra Dante col discorso libero indiretto, o discorso rivissuto, che ogni buon studente liceale è abituato a legare indissolubilmente con la tecnica verghiana dell’impersonalità: Rosso Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi, ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo ecc. NoteVerticali.it_PierPaoloPasolini_5
Pasolini, nel suo intervento sull’indiretto libero, parte dal libro, allora appena pubblicato in Italia, di Giulio Herczeg: Lo stile indiretto libero in italiano; in quel libro si faceva questione di quando si sarebbero manifestati nella letteratura italiana i primi esempi di indiretto libero. E sulla scorta di un altro linguista, Werner Gunter, proclamava trionfalmente essere l’indiretto libero non un’invenzione recente, ma ben più antica, ariostesca addirittura: il Gunter ne aveva trovato 60 esempi nell’Orlando furioso, che veniva così ad essere “il primo rappresentante moderno del nostro
costrutto; e precedendo di un secolo e mezzo La Fontaine, ritenuto fino allora, anche dal Lerch, dal Bally, dallo Spitzer e da altri, il moderno precursore dell’indiretto libero”. Pasolini interviene in questo dotto dibattito con una idea esplosiva: no, non è l’Ariosto il primo autore a usare l’indiretto libero:è Dante. Ma in che senso Dante usa l’indiretto libero, secondo Pasolini? Certo, il narratore della
Commedia non ammette, e non ha bisogno, di intromissioni altrui: “se mai ci fu libro scritto in prima persona, questo è il libro di Dante”. Il suo indiretto libero consiste nella citazione e contaminazione di altri mondi linguistici: quelli dei suoi personaggi: “significa, da parte di Dante, una immersione e una mimesi totale nella psicologia e nelle abitudini sociali dei suoi personaggi. E quindi una contaminazione fra la sua lingua e la loro”.Pasolini fa due esempi: il primo, di stile alto: il linguaggio di Francesca, che,egli dice, “è preso dai fumetti dell’epoca”, cioè mima la riduzione provinciale e sentimentale, ‘romanticatra virgolette, dell’alta teoria dell’amor cortese; l’altro, di stile basso, è il linguaggio di Vanni Fucci, il ladro pistoiese di cui Pasolini offre una lettura straordinaria, quanto arbitraria: “La sua non è la lingua di un signore violento, né la lingua di un ladro plebeo: è la lingua di un signore che perviolenza è divenutoladro. […] Vanni Fucci si presenta, attraverso le sue proprie parole –quelle che Dante con stupendo e assoluto
mimetismo gli attribuisce –come un uomo che protesta contro il mondo e le sue istituzioni, un vecchio teddy boy inferocito dalla contaminazione col mondo (linguisticamente gergale) ch’egli ha scelto”. Ma quel gergo, secondo Pasolini, non rimane soltanto del personaggio: quando Dante, rivivendo il discorso di Vanni Fucci, scrive Le mani alzò con ambedue le fiche –Togli, Dio, ch’a te le squadro!, l’espressione oscena, squadrare le fiche, si dimezza fra il personaggio e il narratore, che si lascia contaminare e invadere dalla lingua della sua creatura. Si può ben capire che a Cesare Segre questo intervento sull’indiretto libero non piacque affatto: ne scaturì un’agra polemica, che dette modo a Pasolini di ribadire caparbiamente il suo punto di vista. Che, lo si capisce fin troppo bene, non è il punto di vista di un critico o di un linguista, ma di uno scrittore. Pasolini proietta su Dante la sua accanita ricerca di una lingua di romanzo (ma anche di poesia) in cui l’io narrante si lasci invadere, contaminare, infettare dal gergo dei suoi personaggi; in cui la mimesi significhi una capacità autentica d uscire da sé, dalla propria cultura e dalla propria lingua, dal proprio corpo fisico borghese, si sarebbe tentati di dire, per entrare, o farsi penetrare dalla lingua e dalla fisicità dei propri personaggi.Dietro tutti i tentativi di riscrivere la Commedia, da parte di Pasolini, c’è evidentemente questa riconosciuta paternità dantesca. Pasolini fabbrica all’indietro, in Dante, la vera e propria auctoritas della sua scrittura: mimetica, contaminata, infetta, plurilingue. Stasera ascolteremo alcuni brani di questo ossessivo corpo a corpo di Pasolini col testo Dantesco. Prima dalla Mortaccia: un testo cominciato già nel 59,variamente intitolato –La Mortaccia, L’Infernante, infine semplicemente L’Inferno–e nel quale chi scende nei gironi infernali è Teresa, una prostituta, come sentiremo, guidata da una guida che è Dante Alighieri stesso, promosso al ruolo di Virgilio. Qui la chiave è violentemente parodica: la selva oscura è diventata il lurido paesaggio di una periferia degradata; il colle solatio a cui cerca di ascendere Dante è un “montarozzo che sotto i ragazzi ci giocano al pallone”, le tre belve diventano “tre canacci lupi…secchi allampanati…” Dagli appunti di Pasolini sappiamo come la discesa agli Inferi doveva continuare:Dante e Teresa vi avrebbero trovato fra l’altro Stalin, al posto di Farinata, i due amanti suicidi di Centocelle, al posto di Paolo e Francesca, Andreotti come Gerione (emblema della frode, si ricorderà…) e anche Wilma Montesi, la protagonista del grande scandalo erotico-politico degli anni Cinquanta, a cui si sarebbe chiesto “chi è stato il colpevole: risposta sibillina di questa…” Ma niente di tutto ciò fu mai scritto. A metà degli anni Sessanta, invece, Pasolini tornò all’attacco di Dante con un progetto adesso intitolato Memorie barbariche –Frammenti Infernali e, infine, la Divina Mimesis. Anche qui, non si va oltre i primi due canti. Ma adesso, a scendere all’Inferno è Pasolini stesso; e la sua guida non è più Dante, come nella Mortaccia, ma una assai riconoscibile controfigura di se stesso: del se stesso, già un po’ sfumato nel ricordo, di almeno un decennio precedente. Così, come sentiremo, il Pasolini eretico dei suoi ultimi anni si fa guidare, non senza perplessità, dal Pasolini
ortodosso, poeta civile e militante di partito, di qualche anno prima: in una catabasi non più violentemente arrabbiata come quella di Teresa, ma più dolente e poco persuasa: ingiallita mimesi, ormai, di un progetto fallito.
In ultimo, ascolteremo da Trasumanar e organizzar del 1971, i versi rivolti da Pasolini alla ‘generazione sfortunata’: ‘O generazione sfortunata! I libri, i vecchi libri passarono sotto i tuoi occhi come oggetti di un vecchio nemico…’ E’ un’invettiva, o forse, un compianto, sulla
generazione degli anni Sessanta, quella dei Sessantottini, quella che nella caparbia convinzione di portare avanti la lotta e di essere chiamata a fare la rivoluzione, si lasciò depredare, semplicemente, della cultura; quella cultura che i suoi cattivi maestri, invece, mentre la incitavano alla intransigenza ideologica, si tenevano ben cara. E qui tocchiamo, forse, le ragioni più vere di quello
attaccamento pasoliniano a Dante.
O generazione sfortunata è un’invettiva, e insieme un compianto. Ovvero un genere poetico dantesco, se mai ve ne fu uno. Sì che l’affinità con la poesia dell’Alighieri non sta qui tanto in quel fulminante ossimoro del titolo –trasumanar e organizzar–che trascina nel politichese degli anni Sessanta lo stile sublime del primo canto del Paradiso, ma nella missione morale e politica di questi versi, così ferocemente convinti che la poesia abbia ad essere contemporanea, intrisa del proprio tempo, e che il poeta ne debba essere il fustigatore e il profeta. Le profezie di Dante, si sa, furono tutte sbagliate. E forse anche quelle di Pasolini: quella generazione sfortunata, dopo tutto, l’abbiamo vista cambiar mantello in molti casi
con stupefacente rapidità, a fare non piccole fortune. E l’omologazione tecnocratica profetizzata da Pier Paolo Pasolini si è inverata a livelli assai meno sofisticati, si è incarnata in un’omologazione più modestamente televisiva. Essere smentiti dalla storia, e al ribasso, forse non è l’ultima affinità che lega Pasolini a Dante Alighieri.

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Alessia Niccolucci Sono una scrittrice e un'insegnante
Scrivo romanzi, poesie, articoli da sempre e insegno a Roma. Ma considero la mia casa la Toscana da dove provengo. Vorrei dire di più ma è già tutto sul mio sito.
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