Un ragazzo perbene
Corrado era un ragazzo perbene. Genovese di origine, era il secondogenito di un’ottima famiglia ed entrambi i suoi genitori parlavano tre lingue e lavoravano presso l’Ambasciata di un ricco paese occidentale. La sorella maggiore era una ragazza prodigio, bravissima a scuola e in più di uno sport, mentre Corrado era il più amato di casa. Nonostante tutte queste sue fortune, possedeva un carattere arrogante e prevaricatore, sebbene non fosse affatto sostenuto da forza, lucidità e coerenza.
La madre aveva origini tedesche ed aveva studiato l’inglese fin da piccolissima: il padre di lei invece, aveva navigato per tutta la vita come capitano nelle navi da crociera, parlava perfettamente il tedesco e l’italiano, le lingue dei suoi genitori, ed aveva due occhi azzurro cielo. Triestino di nascita, aveva vissuto la guerra a Genova, dove aveva collaborato con i nazisti come informatore: Corrado raccontava spesso l’episodio di quando i partigiani irruppero dentro la sua abitazione, sorprendendo la moglie con le due figlie piccole mentre lui, avvisato da un amico, si era rifugiato nei boschi e sua nonna coraggiosamente aveva affrontato gli uomini armati che, vistala sola, l’avevano lasciata parlare e raccontare la sua bugia e si erano allontanati.
Il Capitano comunque, se l’era cavata, mettendo anche da parte un discreto gruzzoletto, che aveva investito con molto acume, comperando villette lungo la Costa Smeralda e che fruttavano non poche entrate alla famiglia di Corrado.
Suo padre invece, aveva fatto la gavetta: trovatosi precocemente orfano di padre ed in pieno disaccordo con il patrigno, era emigrato giovanissimo in Inghilterra dove si era procurato da vivere facendo il cameriere nelle lussuose navi da diporto d’oltremanica, imparando così l’inglese ed il francese; finché, stanco dell’esilio, era tornato in Italia e si era impiegato presso la stessa ambasciata dove lavorava la sua futura consorte e dopo un brevissimo corteggiamento si erano sposati, mentre Luisa, la primogenita, già si annunciava.
Quattro anni più tardi nacque Corrado, mentre la famiglia girovagava per l’Italia e per il mondo a causa del lavoro di entrambi i coniugi, fin quando non approdarono definitivamente a Roma, proprio quando Corrado si affacciava all’adolescenza. Comperarono allora, una bellissima casa in uno dei migliori quartieri della capitale e una casa un po’ più modesta per il nonno materno e per due coniugi sudamericani che si occupavano di lui da quando era rimasto infermo all’età di 85 anni. Intanto Luisa, seguendo la sua atavica passione per il mare si iscriveva alla facoltà di Biologia marina, mentre il fratello cominciava, meno brillantemente, il liceo.
Corrado aveva sedici anni e Luisa venti, quando gli fu diagnosticato un cancro al testicolo sinistro, per il quale dovette sopportare una complicata operazione ed una lunga e dolorosa degenza che, se da un lato gli salvarono la vita, dall’altro lo menomarono, rendendolo quasi del tutto sterile e quasi totalmente impotente. Spiegarono a quell’adolescente mutilato e confuso, che avrebbe potuto un giorno avere figli seguendo determinate precauzioni e che, nelle future relazioni con l’altro sesso (di cui capiva ovviamente, a malapena il meccanismo) avrebbe dovuto aiutarsi con delle speciali iniezioni da praticare sul pene prima di ogni rapporto, al fine da consentirgli di mantenere l’erezione per tutta la durata della copula.
Di seguito a questi avvenimenti, la vita familiare fu completamente sconvolta, come lo fu, naturalmente, anche quella del giovane nel quale, oltretutto, si stavano risvegliando i primi appetiti sessuali. Fu infatti, forse per reazione che per Corrado le donne ed il sesso divennero un punto nodale di tutta la sua vita: come averle e come farsi amare da loro divenne l’attività in cui consumò ogni energia vitale. L’avere una donna lo tutelava da sé stesso e lo confermava come uomo normale.
D’altro canto si affacciò per il ragazzo, anche il problema delle conferme con gli amici, giovani quanto lui ma, ovviamente, molto più spensierati nei loro primi giochi virili. Fu allora che, forse anche per sfogare quell’aggressività ferita che non poteva convogliare nella sessualità per paura di perdere le prime giovani ed inesperte compagne, che puntualmente lo abbandonavano, si interessò di politica. O meglio: cominciò a militare in quei movimenti destrorsi che rompono vetri, improvvisano camping dal tenore para-militare e che inneggiano a valori come la forza, il ferro, il sangue, l’intolleranza verso i deboli e naturalmente la virilità, o almeno al concetto che di essa hanno. Forse sottosotto, oltre all’accettazione e alla tutela del gruppo, Corrado sperava anche in una sorta di carriera, magari anche con finalità impiegatizie e che comunque, non raggiunse mai. In compenso, si trovò di sovente coinvolto in pestaggi, in riti maschi di eccessi di alcoolici, droghe “ricche”, squallidi night club e carcere preventivo, in cui era spesso il sobillatore e puntualmente, il “bevuto”. Ma non è semplice convivere con tali disastri.
Una mattina – aveva circa diciotto anni forse- aprì gli occhi come tutte le mattine, per andare a scuola ma, per quanti sforzi facesse, una forza ignota e molesta lo tratteneva pervicace a letto; vincendo il terrore, cominciò ad urlare chiamando aiuto e tentando di trovarlo negli occhi sconvolti ed increduli dei suoi familiari. Nei giorni che seguirono, questa forma di ferrea immobilità, unita a spossatezza ed affanno, lo perseguitò ed i genitori si decisero a rivolgersi a degli specialisti.
Ricominciò quindi, un lungo pellegrinaggio dai più vari medici italiani, spingendosi fino alla Svizzera ed il responso finale di tutti fu che il ragazzo era fondamentalmente sano, ma soffriva di una gravissima forma di depressione che gli causava ogni altro sintomo: schizofrenia, gli dissero e la cura era a base di pillole e sedute di analisi che però, viste le condizioni fisico-psicologiche del giovane, avevano scarse probabilità di vera riuscita. I medici ed i genitori sapevano infatti, che la causa era stata l’operazione che aveva fatto di Corrado un mezzo uomo. Corrado rifiutò la spiegazione e continuò a peggiorare.
Intanto Luisa, conseguita la laurea a pieni voti, dopo un breve dottorato accettò un impiego di ricercatrice negli USA, presso una università della Florida dove, in capo ad un anno, si sposò con un Marine di vent’anni più vecchio di lei, già ripetutamente marito, padre e nonno. Sembravano felici.
Era ancora una mattina, di tre anni dopo il primo incidente, che Corrado lucidamente capì di cosa era ammalato: non erano la sua mente o il suo umore o la sua virilità ad essere malati, ma solo il suo corpo. Si alzò quindi, ciondolante e varcò la porta della cucina per annunciare alla madre la sua straordinaria scoperta: CFS, un virus terribile pressoché sconosciuto che registrava pochissimi casi nel mondo e che si manifestava solo in alcuni soggetti che erano stati esposti a qualche infezione virale, dalla bronchite alla mononucleosi. In Italia esisteva un’associazione di malati con cui però, Corrado non volle mai mettersi in contatto. Scaricò invece, da Internet, tutto il materiale esistente sulla “Sindrome da affaticamento cronico”, una malattia caratterizzata da profonda astenia, associata a numerosi altri sintomi sistemici, dalla distrazione all’irritabilità, dalla nausea alle sudorazioni notturne: non c’era insomma, una vera cura ed una vera diagnosi e durante le crisi saltuarie, il malato doveva rimanere a letto aspettando che i sintomi di iper-affaticamento, depressione e cefalea si mitigassero, né si doveva spingere il malato a compiere sforzi fisici e mentali contro la sua volontà. La madre non disse nulla: in fondo, se non c’era una cura, che male poteva fare? Accontentò quieta il figlio, mandandolo in visita in uno dei pochi centri italiani dove, dopo accuratissimi esami, gli dissero che forse ce l’aveva e forse no: se ne sapeva così poco della CFS che poteva essere facilmente confusa con mille altre sindromi.
Di seguito a questa sua scoperta e coadiuvato da un capace analista, Corrado cominciò ad analizzare molti dei sogni notturni che lo visitavano: una notte sognò di essere all’interno di una chiesa insieme ad altri due uomini, quando dall’alto apparve un biondo e bellissimo angelo che, spietato gli puntò il dito contro e come per condannarlo ad una pena o ad un destino superiore, gli annunciò la sua omosessualità. Ma Corrado non era omosessuale naturalmente.
Intanto in quegli anni la sorella della madre di Corrado, un’ex indossatrice, cadde nell’alcoolismo poiché il suo unico figliolo, dopo il divorzio dei genitori, aveva cominciato a bucarsi. La madre invece, scoprì di avere la tiroide gravemente ammalata, come sua madre e sua figlia del resto. E come Corrado. Fu in quegli anni che, pur continuando la sua attività politica, la quale costituiva il suo unico impegno, egli si appassionò al “Signore degli anelli”, un libro in cui leggeva una conferma delle proprie ideologie politiche e trovava sollievo per il suo stato di estraneità dal mondo specchiandosi nelle pallide e divine figure degli elfi. E fu in quegli anni che conobbe Antonella.
Prima di Antonella la vita sentimentale di Corrado era stata abbastanza movimentata ma comunque, simile, se vista da fuori, a quella di tanti altri suoi coetanei: quello che da fuori non si vedeva infatti, era la storia fatta di sotterfugi e bugie, di fughe al bagno prima dell’amore per iniettarsi la famosa puntura, di umilianti confessioni e di inevitabili abbandoni da parte delle ragazze, le quali non cedevano nemmeno di fronte all’ultima delle armi che il giovane puntualmente sfoderava dal suo sacco elfico: la pietà. Ad ognuna di loro Corrado aveva giurato amore eterno; ognuna di loro aveva colmato di doni preziosi ed attenzioni oltre misura; ognuna di loro era una donna in fuga da un uomo cattivo che le aveva fatte soffrire; ognuna di loro aveva creduto di essere consolata per poi ritrovarsi invece, a consolare e a fare l’infermiera solitaria di un bambino malato di malinconia; ed ognuna di loro aveva preferito la crudezza sincera di un uomo arido a quell’asilonido artificiale.
Corrado conobbe Antonella in un pub. Antonella era incinta di due mesi di uno sconosciuto e faceva la cameriera. Pur avendo quasi quarant’anni, lavorava saltuariamente come animatrice e coreografa nei villaggi turistici e costruiva anelli di perline che vendeva ai negozi etnici del centro. E non voleva quel bambino il cui padre l’aveva abbandonata dopo due anni di convivenza a singhiozzo, quando aveva saputa la novità. Corrado paragonava Antonella ad una farfalla, una sognatrice con il vizio dei divertimenti costosi e della cocaina: e lui l’accontentò e lo fece vivendo con lei per ben tre anni, durante i quali la curò come una pianta preziosa e scoprì viziandola, che quella polvere magica che lei amava tanto, faceva star meglio anche lui, tanto che in quegli anni non ebbe più attacchi di CFS.
Antonella era sciocca: Corrado non dovette dargli tante spiegazioni circa alcuni suoi strani comportamenti dell’amore, davanti ai quali incolpava tacitamente e bonariamente la compagna che pertanto, non si risentiva mai. Egli l’accompagnò ad abortire, pagandole lui l’intervento che la donna affrontava per la terza volta e poi la implorò di andare a vivere insieme. Così, il padre di Corrado affittò loro un appartamentino vicino casa e si preoccupò anche di trovare finalmente un’occupazione al figlio, che fece impiegare in una società di informatica, mentre Antonella lavorava di tanto in tanto come insegnante d’aerobica in qualche palestra e costruiva anelli.
E poi improvvisamente un giorno di tre anni dopo, qualcuno le propose un ingaggio come animatrice in un villaggio calabro e Antonella fece le valigie, salutò gli amici e se ne andò per sempre.
Durante quella terribile estate, nemmeno la cocaina che un vecchio amico di Antonella gli procurava quotidianamente sottobanco, salvò Corrado da un attacco di CFS. Spaventato, tornò in analisi e si fece prescrivere nuovi antidepressivi, per tutelarsi dal male, diceva. Ma il male non passava e la casa dei suoi genitori divenne la tana in cui si rinchiuse a macerare il suo livore.
Io lo conobbi poco tempo dopo e a vederlo non sembrava né malato, né depresso e né tanto meno cocainomane: o forse semplicemente, ammetto che non avevo mai conosciuto nessuno che fosse tanto incasinato e poi sono una che si fida. Ma non così il mio cuore: e nonostante i regali, i viaggi, la vita lussuosa che Corrado mi offriva, non caddi mai nella trappola delle sue menzogne “d’amore”, sebbene ammetto che nemmeno io sapevo dare un nome al problema che me lo rendeva impossibile da abbracciare. E poi un giorno, per caso, seppi tutto. Capii della cocaina e degli psicofarmaci da cui Corrado era altrettanto dipendente. Guardando nella sua giacca scoprii un astuccio contenente una siringa e delle fiale di cui gli chiesi spiegazioni che non mi potè negare e così, seppi tutta la storia. Un suo amico, probabilmente motivato da personalissime mire, mi disse il resto ed inorridita, fuggii anch’io.
Due mesi dopo questi fatti, seppi che si era fidanzato con una giovane, da poco segnata dalla duplice perdita del padre e del fratello, alla cui attenzione si era imposto con tale veemenza da farle abbandonare il suo ragazzo e preferirgli lui; seppi questi fatti dalla bocca di mia sorella che, inavvertitamente una sera, si trovò invitata a cena da amici comuni che l’avevano chiamata su richiesta di Corrado. Era imbarazzata quando me lo disse: ma lei non conosce la verità e del resto, la sua è una storia difficile da spiegare. E’ la storia di un ragazzo perbene.
(Pubblicato nel numero di Aprile 2011 di “Caffeina Magazine”).
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