Una storia d’amore

Ha scritto Alessia Niccolucci, il

Una storia d'amoreMarcello aveva perso il padre ed il fratello quando aveva ventitre anni. Questa tragedia aveva bloccato qualcosa nel suo cuore, ledendogli profondamente l’animo: ogni suo entusiasmo, ogni suo progetto, inevitabilmente, come un aquilone a cui veniva reciso il filo, finiva per perdersi fra le nubi per poi non fare più ritorno. I suoi pensieri insomma, finivano per non atterrare mai.

Eppure Marcello apparteneva ad una delle più nobili ed antiche casate della città e suo padre e suo fratello erano stati noti ed apprezzati costruttori, tanto che i due Urbinati erano stati i principali protagonisti del boom edilizio negli ultimi vent’anni.

Marcello era il figlio più giovane ed il più amato: sino ad allora aveva perso il suo tempo a correre con le moto ed a cercare di terminare regolarmente il liceo; ed anche dopo, finiti i giorni della scuola, non si era lasciato appassionare nemmeno dall’università che comunque, aveva abbandonato subito dopo l’incidente che gli aveva strappato via ogni solidità.

Pertanto la sua cultura personale lasciava a desiderare e sebbene egli l’avesse poi arricchita coltivando mille interessi, nessuno in famiglia aveva insistito più di tanto sull’argomento.

Ai tempi in cui il padre ed il fratello maggiore gestivano l’impresa edile e la sorella si faceva una istruzione formandosi all’università, Marcello poteva trastullarsi felicemente nella sua prolungata adolescenza. Era anche un po’ spericolato nei suoi hobby, nei quali riversava tutto l’ardore del suo temperamento e che gli avevano procurato in parte, il ruolo di leader fra i suoi amici, tra i quali aveva anche la fama di essere franco, sincero e generoso: tutti andavano da Marcello per confidarsi, consolarsi e ricevere aiuto e sempre a ragione. Il suo unico neo, era l’ingenuità, ma allora la cosa gli procurava poco danno e molto affetto, come spesso accade finché si è giovani.

Sempre in quegli anni, dopo l’ennesimo incidente in pista, che gli era costato tre operazioni al ginocchio ed un lungo periodo di fisioterapia, il padre per dissuaderlo dalla passione per i motori, lo convinse a dedicarsi all’equitazione, comperando e poi affidandogli, un grande maneggio, completo di circolo sportivo in una zona verde e bellissima della città. E così il giovane, fondamentalmente entusiasmato dalla fiducia dimostratagli dal genitore, seguì il consiglio paterno, gettandosi a capofitto nella nuova occupazione che, con una certa lungimiranza, tendeva anche a responsabilizzalo ed ad inserirlo nel mondo del lavoro. Suo padre, conscio dell’inesperienza e dell’indole sincera del figlio più giovane, gli affiancò due amici e collaboratori fidati, esperti dell’ambiente i quali, senza troppo rischio economico (ben altri erano infatti, i capitali che l’ Urbinati solitamente investiva) sostenevano il ragazzo impegnato finalmente in qualcosa di costruttivo.
Il punto è che non si dovrebbe mai ipotecare il futuro.

Nessuno mai avrebbe potuto immaginare che quella domenica mattina sarebbe stata l’ultima per i due uomini, usciti all’alba per la consueta battuta di caccia al fagiano. Essendo inverno inoltrato, la campagna era ricoperta di un mantello di brina che dava al bosco un aspetto lunare: il padre ed il figlio avevano sciolto i cani che, veloci, si erano lanciati pei campi annusando le tracce della selvaggina. Era ormai giorno fatto ed i due cacciatori non avevano trovato niente: osservavano ansiosi i cani, aspettando che fermassero una preda, acquattandosi e gattonando come felini per poi alzarla per i padroni. I cani stessi parevano ansiosi di scovare qualcosa, sia per il premio sia per la passione per al caccia stessa che li rinsanguava. Ad un tratto discesero un greppo, sparendo alla vista. Erano passati alcuni minuti quando i due decisero di andarli cercare, visto che non rispondevano ai ripetuti richiami e dunque, li seguirono. Superato il dosso, scoprirono un laghetto, poco più di uno specchio d’acqua, di quelli scavati dai contadini per abbeverare i greggi e dove di solito, si raccoglie l’acqua piovana ed il liquame del bestiame: i cani erano sdraiati lungo il ciglio della pozza, immobili. Fecero appena in tempo a capire che erano morti prima di spirare essi stessi a causa delle esalazioni tossiche dell’acqua, avvelenata con gli scarichi illeciti di qualche anticrittogamico.

Gli avvocati curarono la vendita della società che, senza più un capo, non aveva più ragion d’essere: almeno questo era quanto consigliarono alla famiglia gli amici e soci in affari dell’Urbinati che, per aiutare la vedova ed i figli, rilevarono ogni cosa.

A Marcello e alla sorella rimase, oltre alle proprietà immobiliari di famiglia, una cospicuo vitalizio, bastante per consentire loro, se lo avessero voluto, di non lavorare mai. E ciò è quanto Marcello fece.

Marcello non era uno sfaticato, nemmeno un perdigiorno o un vizioso: non era stato allevato come un “figlio di papà”: era solo un idealista con un grande bisogno di affetto e soprattutto, di una guida forte che lo sorreggesse nei suoi entusiasmi. La precoce e repentina perdita di due punti di riferimento tanto importanti lo aveva come bloccato nella maturità, o meglio, nella presa di coscienza delle proprie capacità e potenzialità e perciò in quello che distingue un ragazzo da un uomo.

L’incontro con Guglielmo sembrò perciò, a Marcello, la sua salvezza. Anch’esso del resto, proveniva da una storia familiare difficile che lo aveva costretto, giovanissimo, ad andare a vivere da solo ed ad occuparsi del proprio sostentamento, cosa in cui era riuscito egregiamente dato che si trovava ad appena trent’anni, a capo di una società di import-export di sua creazione. Inoltre Guglielmo era bello ed aveva un grande successo con le donne che lui ricambiava con altrettanto passione.
Egli era l’anima che mancava a Marcello, quella spina dorsale che il precoce dolore ed una madre timorosa e possessiva avevano annientato in lui. Si conobbero per la comune passione dei cavalli e subito si piacquero: Guglielmo prese a ben volere il giovane Urbinati, assumendo anzi nei suoi confronti, un atteggiamento quasi paterno, sebbene fossero coetanei.

In quell’epoca Marcello cominciò a sentire l’esigenza di costruire qualcosa nella sua vita, di emulare l’amico e nel contempo, uscire da quello stato di abulica tutela in cui era rimasto dalla disgrazia. Ma non sapeva cosa fare: aveva il denaro e passione, aveva mille idee ma gli mancava la concretezza o il coraggio di attuarle. Così lo soccorse Guglielmo, proponendogli di entrare in società con lui: e naturalmente, con tutto trasporto e la riconoscenza di cui disponeva, Marcello accettò.

La loro amicizia divenne allora più intensa: entrambi avevano ritrovato in essa quel senso di famiglia che, per ragioni diverse, era loro mancato accomunandoli nonostante provenissero da ambienti tanto diversi.
Guglielmo era cosciente della persona che Marcello era, forse più di Marcello stesso e lo apprezzava e lo guidava, indirizzandolo e perdonandogli certi errori causati dalla sua inesperienza e dalla sua scarsa dimestichezza col mondo reale: in cambio l’amico lo ripagava con la devozione più assoluta, aiutandolo anche, nel nascondere certe sue scappatelle alla compagna Claudia.

Claudia amava Guglielmo poiché lui era fuoco mentre lei era ghiaccio: anch’essa era una donna di successo che, a soli trent’anni era a capo di una delle più prestigiose agenzie pubblicitarie cittadine che aveva creato con le sue mani. Era bella, ma non si lasciava amare e forse per questo Guglielmo cercava le carezze nelle mani di altre donne. Claudia non era stupida: capiva la verità e non di rado Marcello aveva raccolto le sue confidenze e le sue lacrime, per poi sentirsi fiero di tanta stima; finché un giorno Claudia non varcò quella soglia, stanca di rincorrere un uomo che non poteva possedere ed ansiosa dunque, di facili conferme.
Lo chiamò e gli disse che lo amava, che lo aveva sempre amato, che tra lei e Guglielmo non c’era più niente e che desiderava solo stare con lui. Marcello stette un mese a pensare a quella telefonata, un tempo in cui si nascose da lei e che Claudia fece pazientemente passare e poi la chiamò.

In capo ad un mese annunciarono le loro nozze: ciò ovviamente scatenò il finimondo in tutta la società cittadina che, in massa si schierò con Guglielmo, due volte tradito. Marcello si ritrovò al centro di un vortice di cui non era affatto padrone e fondamentalmente innamorato di una donna tanto più forte e motivata di lui. Uno psicologo avrebbe avuto molto da dire sulla scelta di entrambi, sulle motivazioni inconsce che li spinsero a sposarsi in capo ad un mese e a perdere l’amicizia di tanta gente. Rimasero con loro solo pochi amici che, nonostante fossero contrari alle loro scelte e glielo dissero, non riuscirono a lasciarli soli.
Marcello, in particolare, dei due era il più fragile ed il più innamorato. Parlare con lui in quei caldi giorni di luglio, era come sentire il copione di un romanzo d’amore e sebbene, nonostante le circostanze, tutti volessimo credere, c’era qualcosa di stonato che ci inquietava e che dava piuttosto l’impressione di un lavaggio del cervello, di una pervicace necessità.
Ricordo che passammo un intero pomeriggio estivo a tentare di dissuadere Marcello dal matrimonio, arrivando persino a portargli una sua vecchia fiamma perché lo convincesse, ma invano. Il matrimonio, celebrato di corsa e fra pochi intimi in campagna toccò soglie mistiche, dimostrando tutti i segni dell’amore puro ed eterno, decisamente in modo troppo manifesto. Anche perché l’atmosfera bucolica era turbata dal terrore dei due di veder arrivare Guglielmo, dalla furia del quale in quei giorni, fuggivano spaventati.

Quello fu per Marcello e Claudia l’anno peggiore della loro vita: lui si ritrovò sposato ad un iceberg, ad una donna che in meno di un mese si rivelò fredda ed autoritaria, troppo forte per il suo temperamento tenero e sognatore; lei dovette convivere con un uomo che, di fatto, faceva la casalinga mentre lei andava a lavoro e che le riempiva la giornata solo di chiacchiere senza fondamento e di idee senza radici. Pur dormendo insieme, smisero presto di fare l’amore. In Claudia cresceva anzi, il disprezzo per un uomo che non riusciva ad ammirare e che, soprattutto non le sfuggiva, nonostante lei lo insultasse e respingesse ogni giorno di più, perdendone cosi anche il rispetto.
Sei mesi più tardi si era trovata un amante, più per consolarsi che non per vera passione.
Marcello soffrì infinitamente: quella donna tanto ostile ed esigente gli annientò quel poco di fiducia in sé stesso che aveva acquistato grazie all’amico che, per lei, non aveva esitato a tradire mentre cercava di emularlo. Perse anche le ultime speranze, raccolse l’ultimo degli inviti della moglie e, fatte le valigie, se ne andò tornando a vivere prima dalla madre e poi dalla sorella che, nel frattempo, si era sposata.
Eppure Marcello non ha perso quell’entusiasmo, quell’aria da sognatore che aveva prima di incontrare Guglielmo e Claudia e chissà se mai la perderà.

(Publicato nel numero di decembre 2009 di Target).

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Alessia Niccolucci Sono una scrittrice e un'insegnante
Scrivo romanzi, poesie, articoli da sempre e insegno a Roma. Ma considero la mia casa la Toscana da dove provengo. Vorrei dire di più ma è già tutto sul mio sito.
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