Il lavoro

Ha scritto Alessia Niccolucci, il

Chiediamoci che significa “vivere”: significa essere o fare? E fare cosa? Come impegnare questo lasso di tempo – 10 anni, 100 anni, ma sono poi tanti? – agire sull’esistenza, su noi stessi, come se vivessimo per sempre..Ma noi non vivremo per sempre, vivremo a tempo, poco tanto tantissimo ma a termine. Poco o tantissimo è il tempo della vita? Vivessimo 200 anni o 600 anni, quello sì che sarebbe un tempo considerevole da vivere..ma 70 anni, è certo un’altra cosa. E certo un modo per non morire sarebbe scrivere, di noi o delle nostre memorie: come si scrive un libro di successo
Perché poi, tolti i pochi anni che precedono la coscienza e quindi, l’acquisizione dell’idea del piacere o del dolore di anni effettivi ne abbiamo ancora meno: la vecchiaia e i suoi limiti si fanno strada dopo la mezza età, in crescendo..e così, forse, sono pochissimi questi anni che ci hanno donati. Eppure Seneca diceva che non è così: gli anni della nostra vita sono tantissimi, milioni di momenti bellissimi da vivere a pieno, per costruire, per lasciare qualcosa, una traccia di noi su questa Terra, o solo godere della vita e del sole, come i bambini e i selvaggi. Diceva anche che noi invece, siamo avari di tutto ciò che ci sta a cuore meno che di tempo: il filosofo latino diceva che siamo prodighi del nostro tempo, lo sprechiamo, lo buttiamo via..Lo sacrifichiamo al lavoro. Il lavoro è importante, indispensabile, gratificante, realizzante..tutto vero..ma non è la nostra vita e bene lo sa chi deve piegarsi a tempi infelici per bisogni veri, veri e presenti, deve sacrificare la cosa più preziosa che ha, il tempo della vita. Seneca si riferisce a quelli che “devono fare” e rinunciano a tutto, alle serate con gli amici, al sorriso di un figlio, alla carezza di una donna, alla realizzazione di un sogno..riempiono la vita e il tempo di sterile azione che non porta energie né vitalità, che non porta nulla. Appare l’immagine della casalinga che “deve” pulire, o stirare o lavare e non ha tempo per un sorriso o per una passeggiata; della donna che lavora, importante o meno che sia il suo ruolo, che si beve cuore e anima nei doveri dell’ufficio appagandosi dei sì o dei no dei suoi superiori o dei colleghi..E poi dell’uomo, il giovane uomo trentenne, quarantenne non importa, sposato o meno, non importa che affida al capo o al lavoro ogni energia e non ne ha la sera per un sorriso, nemmeno per un sorriso..sono quelli che dicono”sono stanco” alle richieste di chi è intorno a loro, quelli che non hanno tempo per il libro, il teatro, la passeggiata; disposti a fare orari forsennati per un dovere, lavare la casa, risolvere una pratica, correggere compiti, gestire un ufficio ma impossibilitati a vedere un film o a cenare fuori o solo a godere di essere vivi..non c’è tempo per questo, è meno importante. Da dove nasce questo modo di essere tanto sponsorizzato dai media e di cui la cocaina è la rappresentazione più felice? Nasce dal silenzio, dalla pochezza, dalla mancanza o dalla disabitudine a guardare le persone invece che le cose, a mettersi in gioco col cuore invece che con la ragione pratica per poi tuffarsi a tratti, come bulimici, in feroci e veloci soddisfazioni che consumano di nascosto a loro stessi, scaricando lo stress in rapidi e fugaci appagamenti, cibo o sesso che sia, violenza a volte negli stadi o meno, chat lines inespressive, lunghissime telefonate, tutto pur di non far uscire la parte di sé più bella, più sensibile, quella che si dona agli altri e riempire quell’infinito senso di vuoto che nessun successo può colmare. L’illusione di non avere bisogno della compagnia, dell’amicizia, dell’amore di chi vive intorno a noi e che ci accompagna in questo viaggio a termine che è la vita. Il lavoro, il dovere diventano così, un alibi, un alibi per non mettersi in gioco. Sono stati figli poco amati forse, ma adulti infantili ed egocentrici oggi, che potrebbero scegliere di essere e non di non essere..Ancora Seneca ci dice che molti rimandano i sogni da realizzare, siano progetti o carezze al “dopo”: all’estate, alla pensione, alla domenica..per poi scoprire che, se ci arrivano indenni, non sanno più come si fa a parlare, accarezzare, scrivere o cantare o volare..si è persa la magia e loro sono lì, con la casa pulita, la carriera riuscita o meno e una vita sempre troppo breve, il cui tempo non basterà mai per viverla.

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Alessia Niccolucci Sono una scrittrice e un'insegnante
Scrivo romanzi, poesie, articoli da sempre e insegno a Roma. Ma considero la mia casa la Toscana da dove provengo. Vorrei dire di più ma è già tutto sul mio sito.
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